Ti piace la foresta? Ancora di più ti piace uscirne. Ma puoi uscire dalla foresta e dal guazzabuglio dei tuoi pensieri
incoerenti solo con l'uso della ragione. Prova una volta tanto a pensare. 

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Un sistema di logica nel contesto giudiziario ha un senso, dato che nessuno potrà offrirti, caro Giudice, la verità rivelata.
La verità te la devi scoprire da solo, con la forza del pensiero, che guiderà le tue azioni e le tue decisioni. 
PARLIAMO DI FATTI 
Scrissi alcuni anni fa: 
ESAME E CONTRO-ESAME DEI PERITI E CONSULENTI
Caro Collega, siamo in un processo penale, e nessuno ci sta a perdere, e perciò la lotta è senza esclusione
di colpi. Se vai in aula per darli, devi essere anche pronto a prenderli. Vediamo cosa succede di solito.
Periti e Consulenti sono ascoltati dopo i testimoni dei fatti. Anche i Periti e i Consulenti sono testimoni,
ma testimoni esperti, quindi sono autorizzati a dare testimonianza e ad esprimere un parere tecnico. Non sono autorizzati
a mentire, anzi verranno puniti se lo fanno.
E' difficile avere tutti insieme periti e consulenti, e può accadere che siano necessarie più udienze per ascoltarli.
Alcuni Giudici ammettono il contradditorio tra periti e consulenti, altri permettono solo le domande degli avvocati e del
PM.
Se c'è un perito del Giudice o del GIP, questo perito sarà ascoltato per primo, e le domande gli saranno dapprima
rivolte dal Giudice o dal GIP, e poi dal PM e poi dalla Difesa. Se c'è un CT del PM, sarà questi a rivolgere le domande al
proprio CT, e poi la Difesa, e magari il Giudice interloquisce.
Successivamente saranno ascoltati i Consulenti delle parti, e i rispettivi difensori o accusatori porranno domande per primi,
e poi seguiranno le altre parti.
Se sei perito o CT del PM in un caso importante, preparati a stare sulla graticola per qualche ora e ricordati
che la sentenza dipende anche da quello che dirai TU. Anche la tua reputazione professionale dipende da quello che dirai e
da come lo dirai.
Quando il Giudice ti fa sedere e ti mette davanti il microfono, devi dare le tue generalità e le tue qualifiche
professionali. Poi il Giudice, o il PM, ti farà la prima domanda e vorrà conoscere le conclusioni della tua perizia o consulenza.
Puoi scegliere, se rispondere brevemente a ciascuna domanda, o invece raccontare i fatti e le conclusioni secondo logica,
con ordine, e con parole semplici e chiaramente espresse. Ambedue queste modalità hanno vantaggi e svantaggi, ed ambedue prevedono
la perfetta conoscenza dell'argomento e il perfetto ricordo di quello che hai scritto. Se la perizia te l'ha scritta qualcun
altro, magari un altro componente del collegio peritale, i ricordi saranno imprecisi, e se malauguratamente l'hai data da
scrivere ad un tuo collaboratore, dovrai imparare tutto a memoria per non fare una figura barbina. Dunque, le perizie conviene
scriversele.
Personalmente preferisco raccontare i fatti e contestualmente esprimere il mio parere. E' l'ormai lunga abitudine
a far lezione che mi porta a scegliere questa tecnica espositiva, che richiede buona memoria, chiarezza e precisione di linguaggio,
ordine e logica: chi ascolta non potrà non condividere le tue argomentazioni e conclusioni, perché sarai tu a portarlo verso
quelle conclusioni che tu vuoi. Se invece sceglierai le singole risposte brevi, sarai in balia di chi ti fa l'esame (si chiama
così, l' "esame del perito"). Questa tecnica però va benissimo quando le tue risposte, per la natura dell'indagine che hai
fatto, si prestano ad essere date in poche parole, per esempio nelle perizie tossicologiche su reperti o nelle perizie su
tracce biologiche. Ma se devi argomentare allora l'altra tecnica espositiva è migliore.
Dopo l'esame, del tutto benevolo, che ti ha fatto chi ha commissionato la perizia, la parola passa alle parti
per il contro- esame. La parte a cui avrai dato torto (è quasi inevitabile dare torto a qualcuno) non sarà soddisfatta e farà
il possibile per farti rimangiare alcune cose che hai detto, o per farti fare ammissioni favorevoli, o per farti cadere in
contraddizione e quindi screditarti di fronte al Giudice.
Durante il contro- esame, dovrai essere sereno, tranquillo e tranquillizzante, e capire che non sei lì per far
prevalere il tuo parere, ma per aiutare il Giudice a stabilire e capire la verità dei fatti, anche a costo di far prevalere
il parere di un consulente di parte. Sei solo lo strumento tecnico del Giudice, e non devi aver paura di dire “non lo
so”, perché nessuno può sapere tutto.
So perfettamente che domande sibilline o capziose possono irritare. In questi casi, mantieni la calma, prendi
tempo, fatti ripetere la domanda se non l’hai capita bene, e ricorda che, se sei perito del giudice, non sei una parte
e devi essere neutrale.
L’esame del perito è faticoso per tutti, anche per te, e le tue surrenali avranno lavorato molto. Dopo
l’udienza, potrai sentirti importante, se ti pare di aver fatto un buon risultato, o umiliato, se il tuo esame non è
andato bene per te. In ogni caso, ricordati che niente è cambiato rispetto a qualche ora prima, sei sempre tu, quello che
tanti anni fa decise, in un momento di scarsa lucidità, di fare il medico- legale, e ricordati anche che dopo l’udienza
devi riposare un poco, per recuperare. Poi, non pensarci più, era solo lavoro, e l’importante è averlo fatto nel modo
migliore, in scienza e coscienza, come si diceva una volta.

Per capire, è necessario partire dai fatti. Il punto è, quali sono "fatti"? I fatti, caro Giudice,
te li viene a raccontare qualcuno, un poliziotto, un testimone, una vittima, un perito, qualche volta un colpevole. Tutti
hanno la tendenza a darti la loro interpretazione dei fatti, a mescolare descrizioni pure e semplici con interpretazioni,
impressioni, giustificazioni, diagnosi.
Questa è la ragione, caro Procuratore della Repubblica, per la quale per decenni ho insistito affinché
tu fossi presente alle autopsie, e ora sono scoraggiato. Fai un po' come ti pare, ma ricordati che nel tuo lavoro le cose
viste sono più importanti delle parole scritte. 
Come fai, caro Procuratore, a sapere che il tuo Consulente ti racconta la verità su quello che ha
visto? Come fai a sapere che la descrizione è precisa e l'interpretazione è corretta? Sei mai stato in una sala settoria o
al cimitero a vedere come si esegue una autopsia? Lo sai o no che buona parte dei medici legali che fanno le autopsie non
sono capaci di farle senza l'aiuto di un tecnico esperto? E figurati se sono capaci di vedere quello che hanno davanti agli
occhi e di comprenderne il significato. Vai una volta sola a vedere un'autopsia, e poi ci andrai sempre, perchè andarci sempre
eviterà errori di giudizio e processi inutili.
Scrissi una volta di quanto sia difficile acquisire un'esperienza sufficiente per valutare i singoli
casi che si presentano. Semmai riuscirò a trovare questo mio scritto, te lo piazzerò qui. Leggilo. 
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Proprio qualche giorno fa- siamo ora a luglio 2004- mi è capitato di udire, in una pubblica
udienza penale, in corso cioè di un processo, che, se una cosa non si vede, vuol dire che quella cosa non c'è. L'affermazione
è sbagliata, perché, se una cosa non si vede, vuol dire solo che non si vede. Si trattava di un segno di agopuntura,
che non si vedeva solo perché la tecnica di illuminazione non era adeguata. Questo è il tipo di errore che capita con una
certa frequenza, e che può sfuggire se non sei abbastanza ferrato sui limiti delle osservazioni che i tuoi sensi ti permettono.

Non ha naturalmente molto senso elencare tutte le possibilità di errore diagnostico o di errore
giudiziario. Tutti sappiamo che esistono, e tutti dobbiamo stare in guardia. Mi piace ricordare qui e ora una sentenza di
questi giorni, che ha mandato assolto un uomo dall'accusa di omicidio volontario. Era questa la mia previsione, perché non
vi era alcuna prova a carico di quell'uomo. Allora, perché mandarlo sotto processo, e non proseguire le indagini? Si è solo
perso del tempo, si sono spesi inutilmente dei soldi, e si è tenuto in galera per un anno un uomo a carico del quale non vi
è alcuna prova di colpevolezza. Ora tocca ricominciare tutto da capo. Sarei curioso di conoscere il parere del Consiglio Superiore
della Magistratura.
Voglio anche ricordare un errore logico peritale, che si basa su questo. Una bimba muore clinicamente
per epiglottite. L'epiglottite provoca una asfissia. La bimba non aveva i segni anatomo-patologici dell'asfissia. Dunque la
bimba non è morta per epiglottite. L'errore sta nel ritenere che le asfissie, che sono parte del più generale quadro delle
anossie, abbiano lo stesso quadro anatomo-patologico, il che non è. Basti pensare, per esempio, ai differentissimi quadri
dell'asfissia da monossido di carbonio e dell'asfissia da annegamento. 
Nell’introduzione
ad un suo libro, che non ho ancora potuto leggere, e che non cito perché non ne conosco il contenuto, l’Autrice afferma che questo libro parla della giustizia di Ancien Régime; delle istituzioni
e dei tribunali che dovevano amministrarla e, insieme, delle rivendicazioni e delle attese, espresse dagli individui comuni,
su che cosa costituisse una "buona e vera giustizia". Ecco, il mio desiderio è quello di una vera e buona giustizia, alla
quale ho cercato e sto cercando di dare il mio contributo, con le forze che mi rimangono. 

Insomma, facciamo il caso che una persona muoia con sintomi clinici di infarto del miocardio. Allora, se
faccio l'autopsia, devo cercare i segni anatomo-patologici dell'infarto. Ne debbo cercare i presupposti, i segni diretti,
le conseguenze: per esempio, la trombosi coronarica, la necrosi del miocardio, l'edema polmonare, rispettivamente. Se uno
o più di questi segni mancano, ne debbo trovare spiegazione, altrimenti la diagnosi non è quella. Ne ho avuto un caso di recente.
Si trattava di una donna anziana morta in corso di banale intervento in anestesia locale. Non c'era trombosi ma solo coronarosclerosi,
non c'era necrosi ma solo qualche ondulazione delle fibre, non c'era edema polmonare. I consulenti del PM hanno fatto diagnosi
di infarto iperacuto, e i Periti del GIP hanno accettato supinamente questa diagnosi. A parer mio, si trattava di un arresto
cardiaco da anestetici locali.  | |
Le funzioni del medico-legale.
Alcune funzioni dl medico-legale sono assolutamente ovvie e ben note: accertare
dei fatti su richiesta di un committente può essere una definizione accettabile. Rientrano in questo ambito tutti gli accertamenti
che vengono effettuati per conto dell'Autorità giudiziaria e dell'Autorità amministrativa, vale a dire, rispettivamente, le
perizie e le consulenze tecniche da un lato, e le valutazioni che a vario titolo vengono fatte per le compagnie di assicurazione
e per gli enti previdenziali.
Desidero tuttavia ora porre in evidenza una funzione che anni or sono pareva ed
era marginale, ma che attualmente sta assumendo un grandissimo rilievo, e cioè la funzione di promozione di un processo, sia
penale sia civile.
E' noto l'obbligo del referto, che ogni medico ha, ed è altrettanto noto l'obbligo
della denuncia di reato che ha ogni medico, che sia anche pubblico ufficiale. Molti processi penali hanno inizio proprio da
un referto o da una denuncia.
Meno esplicitamente noto è il fatto che ogni relazione medico-legale è potenzialmente
idonea a provocare l'inizio di un procedimento, penale o civile che sia, anche indipendentemente dalle intenzioni dell'estensore
della relazione.
Ogni relazione medico-legale, che per definizione è scritta e firmata, può essere
usata nell'interesse di chi l'ha richiesta e pagata, anche in sede giudiziaria e senza che l'estensore ne abbia notizia. Ed
anche in modo assolutamente improprio. Capita spesso di vedere che relazioni scritte allo scopo di valutare un danno biologico
siano presentate in sede penale, o che proposte valutative dell'invalidità civile siano utilizzate per altri fini.
Tutto ciò comporta, oggettivamente, la responsabilità dell'estensore da un lato,
e quella dell'avvocato dall'altro.
I mezzi che il medico-legale ha per difendersi dall'uso improprio del suo lavoro
sono pochi. A mio parere, nella relazione dovrebbe essere esplicitata la finalità della relazione, escludendone l'uso nelle
sedi non previste dalla relazione stessa.
Ma il fatto più importante, ed è un fatto degli ultimi anni, è rappresentato dalle
consulenze, di parte o d'ufficio, che danno inizio ad un processo per colpa medica.
Di questa evenienza il medico legale deve essere assolutamente avvertito: anche
se si tratta di banalità, anche se la sua relazione è destinata solo a far avere un modesto risarcimento ad un suo assistito,
di fatto il medico legale non ha più il controllo di ciò che avverrà della sua relazione dopo che essa è stata consegnata.
Perciò, se alla base della sua opinione tecnica vi è anche un'ipotesi di errore medico, che si sovrappone ad altra causa che
potrebbe dar luogo a risarcimento (per esempio, un incidente stradale), allora può esser certo che vi sarà conflitto fra le
due compagnie assicuratrici, e che la sede più adatta per risolvere il caso verrà ritenuta quella penale, tanto per iniziare,
e dunque quella relazione diventerà il primo documento tecnico acquisito nel fascicolo processuale. In quanto tale, verrà
passato all'analisi più severa.
Anche, e soprattutto, se il medico legale è pienamente cosciente, ed anzi la sua
opera è stata chiesta proprio per questo, di ciò che avverrà del suo parere tecnico, a maggior ragione egli deve considerare
tutti gli aspetti del caso, enucleare quei punti che, a suo avviso, rappresentano un errore medico dovuto a negligenza o imprudenza
o imperizia, identificare la persona o le persone cui l'errore sia attribuibile, verificare se l'errore sia invece attribuibile
alla cattiva organizzazione del reparto o del laboratorio o dell'ospedale, consentendo così al difensore la possibilità di
scegliere tra un processo penale ed uno civile.
Nella fase delle indagini preliminari, la CT per il PM praticamente non lascia scelta al PM, se nella
sua CT il medico legale individua un errore medico per colpa. Il PM dovrà andare avanti, anche se non è convinto del parere
del suo CT, e potrà/dovrà affidare altra CT, o chiedere al GIP che venga disposta una perizia. In ogni caso, il parere del
CT del PM potrà allungare i tempi processuali, ed anche portare alla fine ad una sentenza errata in quanto errati ne siano
i presupposti tecnici.
L'esito finale di un processo iniziatosi avventatamente con un parere tecnicamente
errato di un medico legale non è prevedibile, così come non è prevedibile la durata del processo. Di certo avrà dato luogo
a spese, a perdite di tempo, ad ansia motivata, alla rinuncia a proseguire in una specifica forma di attività. Negli Stati
Uniti, la pervicacia con cui si persegue la "medical malpractice" ha portato ad alcune gravi conseguenze generali:
*la progressiva e costante diminuzione del numero degli studenti in medicina e
in infermieristica;
*il progressivo e gravissimo calo numerico degli specialisti nelle materie più
esposte all'aggressione per le vie giudiziarie, e cioè degli anestesisti, dei chirurghi e degli ostetrici;
*l'incredibile aumento dei premi pagati alle compagnie assicuratrici per la responsabilità
civile del medico.
Se non hai mai fatto la ricerca scientifica, né di base né applicata, né in questa disciplina né
in altre, a mio avviso è meglio dedicarsi alla professione, e cercare di farla bene, se solo è possibile. E' tuttavia
mia ferma convinzione che la professione del medico legale va sempre fatta con spirito e curiosità scientifica.
Iacopone da Todi
Signor, dàme la morte
Signor,
dàme la morte 'nante ch'e' plu t'afenda e lo cor me sse fenda ch'en mal perseveranno. Signor, non t'è iovato mustrannome
cortesia, tanto so' stato engrato pleno de vellania. Pun fine a la vita mia, che gita t'è contrastanno. Megl'è
che tu m'occide che tu, Signor, si' offeso; ch'e' non me amendo, ià 'l vide, nanti a ffar male so' acceso; condanna
orama' quest'appeso, ché so' caduto nel banno. Comenza far lo iudicio, tollarme la santate; al corpo tolli l'officio, che
no n'aia plu libertate, perché 'n prosperetate gita l'à male usanno. E tolli a la gente l'affetto, non n'aia de
me pietanza, perch'eo non so' stato deritto avere a l'infirmi amistanza; e tollime la baldanza, ch'e' non ne vaga
cantanno. Adunense le creature a far de me la vendetta, ché mal l'ho usate a tuttore contra la lege deritta; ciascheuna
la pena 'n me metta per te, Signor, vindecanno. Non è per tempo el corrotto, ch'eo per te, Signor, deio fare, plangenno
continovo 'l bòtto, devennome de te privare. O cor, e co' 'l pòi pensare che 'n te non vai consumanno? O cor,
e co' 'l pòi pensare de lassar turbato l'Amore, faccennol de te privare, o' patéo tanto labore? Or pensa lo so
desonore e de te non gire curanno.
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Lasciamo parlare ancora i fatti. Supponi di rmperti un braccio o di contrarre una malattia che lasci qualche esito. Supponi
ancora di avere una qualche assicurazione per tutto questo. Vai a consultare le tabelle di valutazione del danno per quel
tuo esito. Prova a tradurre in denaro quel tuo esito. Ne vedrai delle belle. La cosa meno bella è che quel tuo esito è valutato
in percentuale diversa a seconda del contesto assicurativo, il che non dovrebbe assolutamente essere. Signori Ministri della
Salute, del Lavoro, del Welfare, dell'Industria, della Difesa e altro: siete in grado di porre ordine nel disordine?
LE CATEGORIE
IL TERMINE DI PARAGONE
IL NESSO CAUSALE
Formulare una diagnosi implica l’osservazione e/o la provocazione di segni e sintomi che consentono l’inquadramento
di un processo morboso entro uno schema predeterminato o entro uno schema nuovo.
Naturalmente l’osservazione deve essere corretta. così come deve essere corretto lo schema entro il quale
la nuova osservazione va inquadrata.
La correttezza dello schema è possibile solo se le precedenti osservazioni al riguardo sono corrette.
Le precedenti osservazioni possono consistere in una codifica diagnostica o nell’esperienza individuale.
Sia la codifica diagnostica sia l’esperienza individuale possono essere fallaci, e di conseguenza anche
l’inquadramento in una categoria diagnostica può essere sbagliato.
Il problema è molto sentito in medicina: sono state proposte numerose chart-flow o percorsi diagnostici o protocolli
diagnostico-terapeutici per consentire la correttezza diagnostica.
Tuttavia la diagnosi ha pur sempre una base statistica, nel senso che la diagnosi che si ritiene più vicina
alla realtà può essere proposta in termini probabilistici Molte diagnosi fanno anche riferimento al teorema di Bayes che esprime
la probabilità a priori di una determinata malattia.
Qualunque sia l’approccio al problema diagnostico, se cioè puramente clinico o statistico, è inevitabile
che il caso in esame venga posto a confronto con un termine di paragone.
Il termine di paragone in medicina è situato prevalentemente nel ricordo di casi analoghi, prelevati dallo studio
e dall’esperienza clinica. Nei casi rari, il medico ha il soccorso di colleghi, del laboratorio, di strumenti particolari.
Il termine di paragone in medicina legale è essenzialmente differente, in quanto si tratta di casi spesso di
per se rari, o rari per il perito, in quanto raramente possono capitare all’osservazione di quel perito o di tutti i
periti.
E’ caratteristica della medicina legale giudiziaria la scarsa ripetitività delle osservazioni. Nessun
caso si presenta eguale agli altri. Nella casistica i casi di morte più frequentemente osservati riguardano incidenti stradali,
ed anche qui i quadri anatomici sono assai spesso molto diversi l’uno dall’altro. Nella casistica omicidiaria
le osservazioni sono numericamente scarse: in Italia si verificano poco più di 800 omicidi volontari all’anno, in buona
parte concentrati in alcune regioni meridionali. Se escludiamo gli omicidi della criminalità organizzata, rimangono forse
500-600 omicidi l’anno, che si ripartiscono in maniera abbastanza regolare secondo la numerosità della popolazione. Tenuto conto del numero dei medici legali, le osservazioni di ciascun medico-legale
sono in media scarsissime, anche se, è bene ricordarlo, alcuni medici legali si dedicano esclusivamente ad indagini in tema
di omicidio volontario.
Di conseguenza, può venire a mancare il termine di paragone scientifico culturale, pur essendo facile l’inquadramento
del caso in una categoria diagnostica, per esempio nella categoria delle ferite d’arma da fuoco. La mancanza del termine
di paragone coincide in questo caso con la mancanza di esperienza o con la scarsa esperienza nello specifico campo, il che
può rendere difficile o impossibile la diagnosi differenziale fra omicidio suicidio o accidente. La scarsa esperienza nello
specifico campo comporta la necessità di uno studio approfondito di ogni caso, seguendo linee di ricerca che debbono essere
inventate e reinventate di volta in volta, ed è naturale che in questa procedura si possano verificare errori.
Inoltre, il medico legale è solo, ha l’obbligo di mantenere il segreto, non può, o non dovrebbe, dividere
con altri,che non facciano eventualmente parte del collegio peritale, la responsabilità diagnostica.
Tutto questo genera o può generare l’incertezza, che si rende manifesta nelle aule di giustizia e dunque
influisce sulla sentenza.
L’inquadramento in una categoria diagnostica attraverso il paragone con la dottrina e l’esperienza
propria ed altrui appare assolutamente preliminare all’accertamento del nesso di causalità materiale e psichica.
A questo punto si verifica un salto nel ragionamento peritale. Infatti,
una volta raggiunta la diagnosi e inquadrato il caso in una categoria, l’accertamento del nesso causale prescinde, o
tende a prescindere, dal caso concreto e parte invece dalla categoria diagnostica cui il singolo caso appartiene.
Per esempio:a) Tizio riceve una lesione al collo;
b) confronto questa lesione con le altre lesioni che conosco perché ne ho avuta esperienza professionale e perché
le ho studiate;
c) riscontro che si tratta di una ferita da taglio:
e) poiché le ferite da taglio sono prodotte da un tagliente, la causa materiale della ferita è l’azione
di un tagliente;
f) qui si verifica la variazione nel procedimento del ragionamento logico: io so che le ferite da taglio al
collo possono essere omicidiarie, suicidiarie o accidentali, e so anche che, sulla base della pura morfologia della ferita,
ed a causa della (relativamente) scarsa esperienza in materia di ferite da tagli al collo, mi sarà molto difficile distinguere
il tipo di arma tagliente che è stato usato e anche se si tratta di omicidio,
suicidio o accidente, Il ragionamento prosegue su base statistica: io so che le ferite al collo sono per lo più di natura
suicidiaria e sono prodotte per lo più con un coltello molto affilato o con un rasoio, e dunque affronto il problema verificando
se queste ipotesi siano compatibili con la morfologia delle lesioni e con le circostanze dei fatti. Quest’ultimo aspetto
rappresenta una eccezionale variante medico-legale rispetto al procedimento diagnostico clinico, nel quale tuttavia il criterio
epidemiologico ha grande rilevanza nel settore diagnostico delle malattie infettive.
Quanto è stato detto finora è assolutamente noto e non rappresenta nulla di nuovo per ciascuno di noi.
Trasferiamoci dal campo della diagnosi (categoria) , attraverso il termine di paragone, alla diagnosi eziologica,
cerchiamo cioè di stabilire il nesso di causalità materiale, fra un dato ed un altro, in un settore meno semplice di quello
esemplificato.
Facciamo il caso della diagnostica delle malattie professionali. Gli accertamenti clinici ci possono portare
alla diagnosi clinica, ma non alla diagnosi eziologica, a meno che gli accertamenti non siano mirati a riconoscere l’origine
della malattia, per esempio il veleno che è causa di quei segni e sintomi. Lo stesso si deve dire, mutata la situazione, per
le malattie genetiche.
E’ dunque evidente che la mancanza del termine di paragone comporta una ricerca difficile, assai indaginosa,
lunga nel tempo, talvolta foriera di errori, trasportabile in sede giudiziaria solo con incertezze, dubbi e difficoltà
Talvolta il termine di paragone è solo apparentemente preciso, mentre in realtà è preciso solo in un determinato
tempo e in un determinato spazio.
Mi riferisco ad un elemento che, insieme con l’analisi critica del caso, sta alla base della valutazione
del nesso di causalità psichica nelle questioni concernenti la responsabilità professionale del medico.
Cioè alle percentuali di guarigione di alcune affezioni potenzialmente mortali: se tale percentuale è bassa,
vi è la tendenza a ritenere l’assenza del nesso di causalità materiale anche in presenza di una condotta colposa del
medico, viceversa se la percentuale di guarigione è alta,
E’ naturalmente di grande importanza precisare a quale tempo e luogo questi dati percentuali si riferiscano,
poiché essi rappresentano la pietra di paragone sopra la quale si saggia quel singolo caso concreto che è oggetto dell’indagine
giudiziaria.
Non ha evidentemente senso confrontare, ad esempio, l’esito della cura di una malattia infettiva con l’esito
della cura della stessa malattia in epoca pre-antibiotica, o in una regione in cui ancor oggi la diffusione delle terapie
antibiotiche sia carente.
Queste ipotesi proposte sono estreme, e a nessuno di noi verrà mai in mente di farvi ricorso. Facciamo tuttavia
ricorso, come pietra di paragone, a dati che provengono da altri paesi, segnatamente gli Stati Uniti, che hanno tecniche mediche
ed organizzazione sanitaria diverse e forse più avanzate. Non vi è alcuna vera ragione che legittimi il ricorso a statistiche
americane, salvo il fatto che non abbiamo, generalmente parlando, statistiche attendibili che riguardino il nostro paese,
o le regioni, o macroregioni, del nostro paese. Tanto meno abbiamo la possibilità di accedere a dati che riguardino singoli
ospedali, o singoli medici.
Purtroppo non abbiamo neppure la possibilità di mettere insieme i dati che ci servono, perché le cartelle cliniche
degli ospedali sono spesso illeggibili o inaffidabili, come ci risulta dall’esame delle cartelle che ci capita di dover
esaminare per ragioni professionali.
Nella consapevolezza che il ricorso a statistiche sanitarie straniere, quale ausilio alla soluzione di problemi
giudiziari per errore medico, accaduti in Italia, rappresenta un errore, dobbiamo tuttavia renderci conto che altre meno inadatte
pietre di paragone non esistono, e che in realtà, valutando le statistiche americane, non facciamo altro (ma anche questo
è un errore) che valutare la perfezione raggiunta in questo momento dall’arte medica, e con essa confrontare le nostre
insufficienze.
Le conclusioni che sul piano pratico si possono trarre riguardano in primo luogo la necessità che abbiamo di
avere statistiche sanitarie attendibili circa la diagnosi e la prognosi e la percentuale di guarigione, ottenute dalla pratica
professionale medica italiana, e in secondo luogo quella di considerare con maggiore serenità di giudizio eventuali errori
medici, paragonandoli sì con le statistiche nord-americane, ma ricordando anche che la medicina in quel paese rappresenta
forse il meglio-sul piano tecnico- che ci sia al mondo e che non possiamo pretendere che l’organizzazione degli ospedali
e le capacità tecniche dei medici italiani (e anche dei medici legali) siano in questo momento a quel livello.
Questo ci porta immancabilmente al problema del significato medico-legale delle guide-lines, o protocolli, cui
il medico dovrebbe o potrebbe attenersi per esercitare la sua attività professionale in modo tecnicamente corretto e dunque
(o comunque) per tenersi lontano da guai giudiziari.
Il tema tuttavia della responsabilità medica è solo un caso particolare dell’idea più generale della necessità
di un termine di paragone.
Se è relativamente facile, sia sul piano concettuale sia sul piano pratico, affrontare il problema della possibilità scientifica che un evento sia conseguenza
di un altro, non altrettanta facilità si trova quando si voglia affrontare il tema della probabilità di un certo evento.
Il concetto di possibilità e quello di probabilità appartengono a due categorie diverse. Il concetto di possibilità
è qualitativo, quello di probabilità è quantitativo.
Un grande lavoro è stato effettuato in tema di malattie da radiazioni , per cui partendo dalla nozione di “rischio
attribuibile”, che si esprime con la formula RA=tasso esposti-tasso non esposti/tasso esposti x 100, si è giunti a stabilire
la PC (probability of causation) secondo la formula PC= rischio da radiazioni / rischio da radiazioni + rischio “naturale”
o, come formula finale PC=R/R+1, dove R compendia alcune grandezze di tipo diverso (dose, tempo dell’esposizione, ecc.).
Negli Stati Uniti le Corti di merito hanno accettato la fondatezza delle richieste di indennizzo quando la PC superi il 50%,
e così innumerevoli liti giudiziarie hanno trovato soluzione.
Si tratta, come è evidente, di un caso del tutto particolare, che si presta specialmente ad elaborazioni di
questo tipo.
E’ stato elaborato anche il concetto di rischio stocastico, che si riferisce alla probabilità che un lavoratore
ha di contrarre una malattia professionale o di andare incontro ad un infortunio. Nel caso dell’infortunio la probabilità
finale Pf del suo accadimento dipende da una serie di probabilità di eventi intermedi sfavorevoli P1 x P2 x P3 x Pn, e così
è stata stimata, per esempio, la probabilità finale di uno shock elettrico in un paziente che si ricoveri in ospedale per
un esame diagnostico non invasivo con apparecchiature elettriche.
Questa è la probabilità finale o globale che dopo il 1° evento si
verifichi l’ultimo, e può essere calcolata, mentre le singole probabilità
dopo un singolo evento non sono calcolabili, bensì osservabili, cioè debbono essere valutate empiricamente. E questi sono
appunto i dati che ci mancano e che non riusciamo ad avere nel contsto scientifico e sanitario nazionale.
Manchiamo dunque di un realistico termine di paragone, che dovrebbe essere costruito attraverso l’analisi
seria e completa della casistica, essenzialmente ospedaliera.
E’ spesso difficile, inoltre, nell’ambito della responsabilità professionale del medico, comprendere
il confine tra l’errore del singolo, l’errore del gruppo o èquipe, l’errore dell’organizzazione del
reparto o dell’intera struttura ospedaliera od extra-ospedaliera. Tale difficoltà di comprensione non può che riflettersi
nella perizia e nella sentenza. Porvi rimedio comporta un assai rilevante aggravio dei compiti del perito, al quale dovrebbero
competere anche i sopralluoghi e lo studio dell’organizzazione interna della struttura.
I compiti del perito, in tema di responsabilità medica, si limitano attualmente alla visita della persona o all’autopsia
del cadavere, e all’esame della- documentazione sanitaria.
In questi casi anche l’autopsia, intesa come sezione del cadavere, ci dice assai poco.Quel che manca,
il più delle volte, è la reale comprensione dei meccanismi psichici che stanno alla base della condotta colposa. Tali meccanismi
emergono, il più delle volte, nel corso del dibattimento penale.
L’autopsia dovrebbe essere il massimo per giungere ad una diagnosi sulle cause di morte. Il più delle
volte essa ci dice solo che la persona è morta, non come è morta. L’autopsia
è solo una fotografia statica, che si ritiene rappresenti lo status del corpo e dei singoli organi al momento della morte.
Essa però non ci può dire che cosa è accaduto prima della morte e dopo di essa, se non a grandi linee e per congettura. La
pretesa che l’autopsia descriva lo status al momento della morte è assurda, ancor più assurdo è pretendere di individuare
i meccanismi che hanno portato a morte la persona. E’ solo l’accurata osservazione clinica che ce lo può dire.
Allo stato delle cose, e con il fine specifico di evitare problemi giudiziari, i medici che si occupano di curare
i malati dovrebbero cercare di aiutare meglio se stessi, tenendo conto del fatto che i malati o i loro famigliari possono
perdonare più facilmente l’imperizia e l’imprudenza piuttosto che la negligenza.
Tra i modi che hanno i clinici per meglio aiutare se stessi dovrebbero essere compresi l’informazione
al paziente, ed eventualmente anche ad alcuni suoi famigliari, e al medico di base, il consenso al trattamento diagnostico-terapeutico,
l’identificazione dei fattori di rischio, l’empatia con il paziente. In sostanza il paziente dovrebbe essere posto
in grado di capire ciò di cui soffre e che cosa si farà per cercare di guarirlo.
Tenergli nascosti possibili rischi non è utile, e non serve neanche al medico.
Nell’ambito dell’attività peritale, ho notato che frequentemente
gli ostetrici sono coinvolti in procedimenti penali e civili, più spesso di altri specialisti. Ed ho notato anche che spesso
gli ostetrici collaborano assai male alla propria tutela, non valutando con cura i rischi fetali in corso di gravidanza, non
documentando gli eventi clinici nel corso del travaglio, non esaminando placenta e funicolo, non dividendo compiti e responsabilità
con il neonatologo al momento del parto.
Condotte analoghe si possono evidenziare anche per le altre specialità mediche.
Si può affermare, per concludere, che il rischio professionale è immanente per ogni medico, il quale dovrebbe
tutelarsi attraverso una più adeguata prassi professionale, oltre che attraverso una buona polizza di assicurazione personale.
A sua volta, il medico legale, nella sua specifica funzione, dovrebbe comprendere che ogni valutazione tecnica comprende necessariamente,
in modo esplicito o implicito, il confronto di quel singolo caso concreto con una adatta pietra di paragone.
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