Un
sistema di logica nel contesto giudiziario ha un senso, dato che nessuno
potrà
offrirti, caro Giudice, la verità rivelata. La verità te la devi scoprire da solo,
con
la forza del pensiero, che guiderà le tue azioni e le tue decisioni.
PARLIAMO DI FATTI
Scrissi
alcuni anni fa:
ESAME E CONTRO-ESAME DEI PERITI E CONSULENTI
Caro Collega, siamo in un processo penale, e nessuno ci sta a perdere, e perciò la lotta è senza esclusione
di colpi. Se vai in aula per darli, devi essere anche pronto a prenderli. Vediamo cosa succede di solito.
Periti e Consulenti sono ascoltati dopo i testimoni dei fatti. Anche i Periti e i Consulenti sono testimoni,
ma testimoni esperti, quindi sono autorizzati a dare testimonianza e ad esprimere un parere tecnico. Non sono autorizzati
a mentire, anzi verranno puniti se lo fanno.
E' difficile avere tutti insieme periti e consulenti, e può accadere che siano necessarie più udienze per ascoltarli.
Alcuni Giudici ammettono il contradditorio tra periti e consulenti, altri permettono solo le domande degli avvocati e del
PM.
Se c'è un perito del Giudice o del GIP, questo perito sarà ascoltato per primo, e le domande gli saranno dapprima
rivolte dal Giudice o dal GIP, e poi dal PM e poi dalla Difesa. Se c'è un CT del PM, sarà questi a rivolgere le domande al
proprio CT, e poi la Difesa, e magari il Giudice interloquisce.
Successivamente saranno ascoltati i Consulenti delle parti, e i rispettivi difensori o accusatori porranno domande per primi,
e poi seguiranno le altre parti.
Se sei perito o CT del PM in un caso importante, preparati a stare sulla graticola per qualche ora e ricordati
che la sentenza dipende anche da quello che dirai TU. Anche la tua reputazione professionale dipende da quello che dirai e
da come lo dirai.
Quando il Giudice ti fa sedere e ti mette davanti il microfono, devi dare le tue generalità e le tue qualifiche
professionali. Poi il Giudice, o il PM, ti farà la prima domanda e vorrà conoscere le conclusioni della tua perizia o consulenza.
Puoi scegliere, se rispondere brevemente a ciascuna domanda, o invece raccontare i fatti e le conclusioni secondo logica,
con ordine, e con parole semplici e chiaramente espresse. Ambedue queste modalità hanno vantaggi e svantaggi, ed ambedue prevedono
la perfetta conoscenza dell'argomento e il perfetto ricordo di quello che hai scritto. Se la perizia te l'ha scritta qualcun
altro, magari un altro componente del collegio peritale, i ricordi saranno imprecisi, e se malauguratamente l'hai data da
scrivere ad un tuo collaboratore, dovrai imparare tutto a memoria per non fare una figura barbina. Dunque, le perizie conviene
scriversele.
Personalmente preferisco raccontare i fatti e contestualmente esprimere il mio parere. E' l'ormai lunga abitudine
a far lezione che mi porta a scegliere questa tecnica espositiva, che richiede buona memoria, chiarezza e precisione di linguaggio,
ordine e logica: chi ascolta non potrà non condividere le tue argomentazioni e conclusioni, perché sarai tu a portarlo verso
quelle conclusioni che tu vuoi. Se invece sceglierai le singole risposte brevi, sarai in balia di chi ti fa l'esame (si chiama
così, l' "esame del perito"). Questa tecnica però va benissimo quando le tue risposte, per la natura dell'indagine che hai
fatto, si prestano ad essere date in poche parole, per esempio nelle perizie tossicologiche su reperti o nelle perizie su
tracce biologiche. Ma se devi argomentare allora l'altra tecnica espositiva è migliore.
Dopo l'esame, del tutto benevolo, che ti ha fatto chi ha commissionato la perizia, la parola passa alle parti
per il contro- esame. La parte a cui avrai dato torto (è quasi inevitabile dare torto a qualcuno) non sarà soddisfatta e farà
il possibile per farti rimangiare alcune cose che hai detto, o per farti fare ammissioni favorevoli, o per farti cadere in
contraddizione e quindi screditarti di fronte al Giudice.
Durante il contro- esame, dovrai essere sereno, tranquillo e tranquillizzante, e capire che non sei lì per far
prevalere il tuo parere, ma per aiutare il Giudice a stabilire e capire la verità dei fatti, anche a costo di far prevalere
il parere di un consulente di parte. Sei solo lo strumento tecnico del Giudice, e non devi aver paura di dire “non lo
so”, perché nessuno può sapere tutto.
So perfettamente che domande sibilline o capziose possono irritare. In questi casi, mantieni la calma, prendi
tempo, fatti ripetere la domanda se non l’hai capita bene, e ricorda che, se sei perito del giudice, non sei una parte
e devi essere neutrale.
L’esame del perito è faticoso per tutti, anche per te, e le tue surrenali avranno lavorato molto. Dopo
l’udienza, potrai sentirti importante, se ti pare di aver fatto un buon risultato, o umiliato, se il tuo esame non è
andato bene per te. In ogni caso, ricordati che niente è cambiato rispetto a qualche ora prima, sei sempre tu, quello che
tanti anni fa decise, in un momento di scarsa lucidità, di fare il medico- legale, e ricordati anche che dopo l’udienza
devi riposare un poco, per recuperare. Poi, non pensarci più, era solo lavoro, e l’importante è averlo fatto nel modo
migliore, in scienza e coscienza, come si diceva una volta.
Potrei immaginare che la medicina legale generale sia un modo di pensare alle cose mediche dal punto di vista giuridico,
ovvero, o anche, di pensare alle disposizioni giuridiche dal punto di vista medico e biologico.
Il ragionamento medico ed il ragionamento giuridico non seguono la stessa metodologia. Il medico ragiona partendo da
fatti naturali e cerca di arrivare ad una diagnosi, cioè ad una conclusione razionale che abbia un valore per così dire universale.
Il giurista parte invece da un dato- una legge- che ha per definizione un valore universale (nel tempo e nel luogo in cui è
vigente) e ad essa tenta di applicare una circostanza particolare e contingente.
Il ragionamento medico- legale alterna la metodologia induttiva con quella deduttiva, e qualche volta si provocano incomprensioni
tra i professionisti del diritto ed i professionisti della medicina.
Il tentativo di rendere chiare le ragioni proprie e di capire quelle dell'altro può rappresentare la linea direttiva
di questo insegnamento.
Caratteristica intrinseca dell'attività medico legale sono la comunicazione e l'interazione con gli
altri. Nei fatti, ogni forma di attività medico-legale acquista un senso solo se, e solo quando, essa si inserisca in una
dialettica, che coinvolge persone fisiche e giuridiche e istituzioni.
La precisa cognizione della tua posizione specifica nel caso che stai esaminando è assolutamente
essenziale. 
COMUNICARE.
Le domande che spontaneamente nascono sono: comunicare che cosa? quando? come? perché? a chi?e sono collegate l'una con
l'altra.
Possiamo cominciare dal modo con cui la comunicazione avviene in sede medico legale, ed il modo più frequente è la comunicazione
scritta. Perizie e consulenze sono usualmente formate per iscritto, ne vengono fatte copie, e queste vengono esaminate dalle
parti che hanno il diritto di farlo.
Un'antica e dimenticata regola dice che le relazioni medico- legali dovrebbero essere manoscritte, e quando il caso dettate
al cancelliere a verbale. Un'altra regola, più recente ma antica anch'essa, dice che è tollerato l'uso della macchina per
scrivere. Nulla si dice del computer, che, per molte ragioni, è diventato lo strumento più comune per scrivere le relazioni
peritali. La stampa del testo elettronico è tuttavia sempre necessaria.
Stai attento a quello che ti accade intorno. E' vero che il Codice di procedura penale è basato aulla oralità, ma tutto
viene registrato e trascritto. Anche quando sei chiamato come Perito, devi presentare una relazione scritta, e tuttavia anche
deporre oralmente. E' un doppione, ma così accade. E accade anche che la deposizione orale sia diversa, molto o poco, dal
testo scritto.
Forse non è bello sentir dire da un medico- legale che ha vinto o perso la causa: gli avvocati lo
dicono senza imbarazzo, i clinici non dicono mai nulla di analogo se hanno guarito un paziente, o medici legali lo dicono
raramente, e comunque con imbarazzo. Accade però che davvero talvolta sia il medico legale a vincere la causa o comunque a
far ottenere al cliente il risultato voluto. Naturalmente il Perito o il CTU non possono vincere o perdere alcunchè, dato
che per definizione debbono essere neutrali; può comunque accadere che il Giudice non sia del loro stesso avviso, e allora
anche questo significa perdere, o alternativamente vincere, una causa. In sostanza il consulente di parte può vincere la perizia,
se il perito d'ufficio gli dà ragione, o anche vincere la causa, se il giudice gli dà ragione.
Vincere quando sai di avere torto ti lascia insoddisfatto, ma perdere quando sai di avere ragione
ti lascia furioso, ma comunque ancora fiducioso nell'appello.Vai comunque a rileggerti le ultime righe della pagina precedente.
Nel libro della conoscenza c'è quello che devi sapere. Il libro della conoscenza non finisce mai,
c'è sempre un aggiornamento. Quello che era vero ieri non lo è più oggi, e quel che è vero oggi non lo sarà domani. E' questa
la nozione di scienza. Pensa a quante cose sono cambiate in medicina da quando eri matricola, e soprattutto da quando io ero
matricola. Rifletti sul fatto che il nostro codice penale è del 1930, e il codice civile del 1940, e cioè da prima che nascessero
i tuoi genitori, e rifletti sulla necessità di adeguare le travolgenti conquiste scientifiche a norme così vetuste. Anche
per questo fare il medico legale non è facile.
Uno degli strumenti necessari per vincere è la conoscenza della medicina e del diritto e la conoscenza
dei fatti specifici del caso in esame. Il tuo contributo alla cognizione del fatto è essenziale.
Il nesso causale che lega fra loro due eventi lo devi stabilire TU. Ricorda però che spesso
devi stabilire sia la causa sia l'effetto, per esempio in una persona ferita potresti dover stabilire sia la gravità della
ferita (effetto) sia la causa che l'ha prodotta, ed è proprio quello che spesso il magistrato ti chiede, specificando anche
se vi siano cause concorrenti che possono aver favorito l'evento o aggravato le sue conseguenze.
Come avrai capito leggendo l'editoriale del prof. Fiori (clicca sopra), il nesso di natura biomedica
è solo una parte del nesso che lega globalmente due eventi: per esempio, nel caso di un pedone investito da una vettura, il
tuo compito è quello di valutare se le lesioni del pedone siano causalmente ricollegabili all'investimento, e se gli esiti
dipendano dalle lesioni, ma è compito del magistrato valutare se vi siano altri anelli causali, come l'eccesso di velocità
della vettura, lo stato di ebbrezza del conducente, o l'imprudenza del pedone, ecc. 
Prendiamo allora in considerazione quel pezzo della catena causale che spetta a TE analizzare.
E' in primo luogo evidente, che se anche un solo anello del pezzo di catena causale che hai esaminato
non regge, allora tutta la catena causale viene a cadere. Di tal che le ipotesi accusatorie e risarcitorie vengono a cadere.
Mi auguro che questa semplice enunciazione ti dia l'idea della responsabilità che grava sulla tua testa.
Come avrai capito, esiste un fatto iniziale, per esempio un incidente stradale, ed un fatto finale,
per esempio la morte del conducente di una vettura. Tra il fatto iniziale ed il fatto finale esiste una serie di eventi clinici
che tu devi accertare.
Alcune cose potrai accertarle direttamente, per esempio con l'autopsia, per altre dovrai fidarti
di quello che ti dicono (scrivono) i poliziotti intervenuti sul luogo e i colleghi medici che hanno eventualmente preso in
cura il traumatizzato. 
Esemplifichiamo. Arriva al Pronto soccorso un giovanotto con il femore fratturato in un incidente
stradale. Gli esami mostrano una frattura diafisaria di femore. In attesa dell'intervento di osteosintesi, l'arto viene immobilizzato
con una fasciatura, e il giovanotto viene messo a letto in ortopedia. Il mattino successivo è trovato morto nel letto. Tu
sai (DEVI sapere) che cause possibili della morte sono la tromboembolia polmonare e l'embolia adiposa. Per verificarlo, devi
fare l'autopsia, e riconoscere macroscopicamente questi fatti patologici, eseguire i prelievi adatti per l'istologia e saper
riconoscere queste cose al microscopio. Devi anche esaminare il focolaio di frattura, ed individuare la sede di partenza dell'embolo.
E se non sai questo, o non lo sai fare, sei solo un parafangaro, ed è meglio che cambi mestiere. Devi anche porti la domanda:
se i colleghi clinici avessero praticato un anticoagulante, per esempio l'eparina, questo farmaco avrebbe evitato la formazione
del trombo e conseguentemente la tromboembolia polmonare, o avrebbe aggravato l'emorragia, che è già così importante nelle
fratture diafisarie di femore?
Vedi quante cose devi sapere quando ti accingi a fare un'autopsia su un caso del tutto banale?

Quando decisi di fare il medico legale, il mio Maestro mi chiese se al liceo avevo buoni voti in
italiano scritto. Rimasi un po' allibito, ma aveva ragione Lui. Ho fatto fatica a capire che le osservazioni dovevano essere
rese esplicite, e che dovevo spiegarne il significato, anche se banale per un medico, dato che il lettore poteva benissimo
non essere medico. Ho faticato meno a capire che il mio materiale doveva essere esposto in ordine, e che dovevo tenere ben
separati i fatti dalle opinioni. Ma ancora adesso mi domando come il Giudice possa condannare taluno in base al proprio libero
convincimento, che peraltro si basa molto spesso- diciamolo pure- sul libero convincimento del Perito. Ecco perchè deve essere
fatto ogni sforzo per non lasciare alcun ragionevole dubbio circa le conclusioni peritali. E questo è il massimo che si può
raggiungere nella massima parte delle indagini e delle conclusioni peritali. 
Esiste uno schema della relazione peritale, approssimativamente questo.
Nella prima parte, riporti il nome e la qualifica del committente, i quesiti, ka data dell'incarico
e della scadenza, i nomi dei consulenti, ecc.
Nella seconda parte, riporti le circostanze dei fatti, o il suo equivalente, riassumendo eventualmente
taluni dati processuali.
La terza parte è dedicata all'esame della persona, o del cadavere, e della docimentazione sanitaria.
Ti capiterà di domandarti se devi copiare tutta la documentazione. Qualcuno lo fa. A mio parere, devi regolarti col tuo buon
senso, e sarai magari puntiglioso sugli aspetti salienti, più discorsivo sulla routine.
La quarta parte è dedicata alle considerazioni medico- legali, cioè alla diagnostica differenziale
e alle motivazioni del tuo parere. Il tuo parere deve comparire in questa sezione, e lo devi motivare, altrimenti non si tratterà
di una perizia, che, come sai, non è altro che un parere tecnico motivato.
L'ultima sezione contiene le conclusioni sintetiche, che debbono necessariamente essere coerenti
con quanto hai scritto prima.
Se quel che ti ho detto è lo schema abituale, sono possibili variazioni. Per esempio, le relazioni
per le compagnie di assicurazione sono brevi, e lo schema è una sintesi di quanto detto, e talvolta si riducono alla compilazione
di un modulo. Le consulenze di parte spesso sono una critica alla consulenza d'ufficio o alla perizia, e quindi sono centrate
sul punti che più ti interessano, e così via.
Quello che scrivi deve essere preciso e coerente, ma soprattutto veridico: non è ammesso barare in
atti giudiziari. E' lecito però avere opinioni diverse sul medesimo fatto. Di comseguenza, la tua relazione deve essere convincente,
bene scritta e bene docimentata. 
Una delle FAQ degli specializzandi è: quanto deve essere lunga una relazione peritale? La risposta
è: quanto basta. Di solito, la lunghezza va da 10 a 20 pagine, a 25 righe per pagina. Da parte mia, ho scritto una perizia
di 600 pagine (ho periziato tutti gli operai di una fabbrica), ed una consulenza di una pagina soltanto. Ti devi regolare
da solo. Personalmente preferisco le relazioni brevi, perchè il lettore fa meno fatica e perciò è più attento. 
Dopo che hai scritto, e prima di stampare,
rileggi con attenzione, e correggi, soprattutto gli errori di grammatica e di sintassi. Poi aspetta un giorno, rileggi e correggi
le eventuali sciocchezze che hai scritto, poi stampa e firma. 
E' essenziale che tu conosca in quale contesto giuridico ti stai muovendo, perchè dovrai usare linguaggi
tecnicamente differenti. Per esempio, le parole "inabilità" e "invalidità" non hanno lo stesso significato in ambito di invalidità
civile o di invalidità pensionabile o di RC. Non solo, ma il lettore deve capire se tu sei addentro al problema giudiziario.
Se tratti un caso di invalidità civile come se fosse un caso di invalidità pensionabile, non solo sei ignorante, ma scrivendo
e firmando lo simostri agli altri, e non è un bel modo per cominciare una carriera professionale. Anche perchè il lettore
è non solo attento ma anche interessato al caso che ti è stato affidato. I lettori non saranno molti (certamente meno di dieci),
ma ognuno di loro è in grado di parlare e scrivere, e talvolta si prova piacere a cavare la pelle a qualcuno. Nessuno ti ha
mai raccontato di quel consulente che ha scambiato un caso di inabilitazione per un caso di inabilità? Nessuno ti ha
mai raccontato di quel noto professore emerito che si diverte a collezionare le sciocchezze che gli capita di leggere, e che
prima o poi pubblicherà con tanto di nome e cognome?
Allora, caro amico, devi fare un grosso sforzo di apprendimento. Questo sforzo deve passare attraverso
la critica, talvolta feroce, di chi ti sta più vicino, e che è pagato apposta per addestrarti. Mi rendo perfettamente conto
che talvolta la cosa può essere intollerabile o umiliante, però così stanno le cose, quando devi imparare un mestiere, dovunque.
Un'altra persona che ti può insegnare molto è il tecnico (di sala settoria, di laboratorio, ecc.).
Ci si aspetta che, terminato l'apprendistato, tu sappia fare le cose di sala settoria e laboratorio tanto bene quanto il tecnico,
possibilmente meglio. Risparmiami lo spettacolo di quei medici legali che fanno eseguire l'autopsia al tecnico perchè loro
non sanno fare la dissezione.
La curiosità è un atteggiamento dello spirito che ti spinge alla conoscenza. Conoscenza spicciola,
diranno i malevoli. Può darsi. Ma vi ricordate la storia della scoperta della penicillina?
Nel settore medico- legale essere curiosi è indispensabile, così come è indispensabile essere curiosi
in qualsiasi attività investigativa. E' la curiosità che ti spinge a capire la sequenza e la concatenazione degli eventi.
La diligenxa dell'indagine viene dopo, a mettere per bene in ordine i processi logici. Quando ti imbatti in qualcosa che non
capisci o che non si inquadra con gli altri fatti accertati, questo ti deve spingere a chiarire quello che è realmente accaduto.
Fai delle ipotesi, esaminale con molto senso critico, e stai sempre pronto anche a criticare i fatti asseritamente accertati.
Vedi che non ci sia una soluzione diversa da quella prospettata, e che ti soddisfa di più.
Non devi pensare che l'indagine medico-legale sia una specie di atto notarile. Qualche volta lo è,
qualche altra volta la fai diventare tu, ma spesso è una ricerca, modesta quanto vuoi, settoriale ed applicata quanto ti pare,
ma pur sempre una ricerca resta. Stai attento al cosiddetto rigorismo obiettivo, perchè è sterile. 
Prova a leggere con attenzione il sito che ti propongp, può aiutarti a chiarire alcune idee, e cerca
di approfondire la lettura. 
curiosità 
Anche questo sito è interessante. Mi ero ripromesso di non linkare siti in lingua straniera, ma questo
è in francese, forse lo capisci meglio dell'inglese, e in ogni caso puoi provare col traduttore. I traduttori li trovi
nella home page di Crime and punishment (https://gvgiusti.tripod.com/), o anche in Legal and Social Medicine (www.legalandsocialmedicine.com), o su Google cercando "Translators". 
elogio della curiosità 
Le funzioni del medico-legale.
Alcune funzioni dl medico-legale sono
assolutamente ovvie e ben note: accertare dei fatti su richiesta di un committente può essere una definizione accettabile.
Rientrano in questo ambito tutti gli accertamenti che vengono effettuati per conto dell'Autorità giudiziaria e dell'Autorità
amministrativa, vale a dire, rispettivamente, le perizie e le consulenze tecniche da un lato, e le valutazioni che a vario
titolo vengono fatte per le compagnie di assicurazione e per gli enti previdenziali.
Desidero tuttavia ora porre in evidenza
una funzione che anni or sono pareva ed era marginale, ma che attualmente sta assumendo un grandissimo rilievo, e cioè la
funzione di promozione di un processo, sia penale sia civile.
E' noto l'obbligo del referto, che
ogni medico ha, ed è altrettanto noto l'obbligo della denuncia di reato che ha ogni medico, che sia anche pubblico ufficiale.
Molti processi penali hanno inizio proprio da un referto o da una denuncia.
Meno esplicitamente noto è il fatto
che ogni relazione medico-legale è potenzialmente idonea a provocare l'inizio di un procedimento, penale o civile che sia,
anche indipendentemente dalle intenzioni dell'estensore della relazione.
Ogni relazione medico-legale, che per
definizione è scritta e firmata, può essere usata nell'interesse di chi l'ha richiesta e pagata, anche in sede giudiziaria
e senza che l'estensore ne abbia notizia. Ed anche in modo assolutamente improprio. Capita spesso di vedere che relazioni
scritte allo scopo di valutare un danno biologico siano presentate in sede penale, o che proposte valutative dell'invalidità
civile siano utilizzate per altri fini.
Tutto ciò comporta, oggettivamente,
la responsabilità dell'estensore da un lato, e quella dell'avvocato dall'altro.
I mezzi che il medico-legale ha per
difendersi dall'uso improprio del suo lavoro sono pochi. A mio parere, nella relazione dovrebbe essere esplicitata la finalità
della relazione, escludendone l'uso nelle sedi non previste dalla relazione stessa.
Ma il fatto più importante, ed è un
fatto degli ultimi anni, è rappresentato dalle consulenze, di parte o d'ufficio, che danno inizio ad un processo per colpa
medica.
Di questa evenienza il medico legale
deve essere assolutamente avvertito: anche se si tratta di banalità, anche se la sua relazione è destinata solo a far avere
un modesto risarcimento ad un suo assistito, di fatto il medico legale non ha più il controllo di ciò che avverrà della sua
relazione dopo che essa è stata consegnata. Perciò, se alla base della sua opinione tecnica vi è anche un'ipotesi di errore
medico, che si sovrappone ad altra causa che potrebbe dar luogo a risarcimento (per esempio, un incidente stradale), allora
può esser certo che vi sarà conflitto fra le due compagnie assicuratrici, e che la sede più adatta per risolvere il caso verrà
ritenuta quella penale, tanto per iniziare, e dunque quella relazione diventerà il primo documento tecnico acquisito nel fascicolo
processuale. In quanto tale, verrà passato all'analisi più severa.
Anche, e soprattutto, se il medico
legale è pienamente cosciente, ed anzi la sua opera è stata chiesta proprio per questo, di ciò che avverrà del suo parere
tecnico, a maggior ragione egli deve considerare tutti gli aspetti del caso, enucleare quei punti che, a suo avviso, rappresentano
un errore medico dovuto a negligenza o imprudenza o imperizia, identificare la persona o le persone cui l'errore sia attribuibile,
verificare se l'errore sia invece attribuibile alla cattiva organizzazione del reparto o del laboratorio o dell'ospedale,
consentendo così al difensore la possibilità di scegliere tra un processo penale ed uno civile.
Nella fase delle indagini preliminari,
la
CT per il PM praticamente non lascia scelta al PM, se nella sua CT il medico legale individua un errore medico
per colpa. Il PM dovrà andare avanti, anche se non è convinto del parere del suo CT, e potrà/dovrà affidare altra CT, o chiedere
al GIP che venga disposta una perizia. In ogni caso, il parere del CT del PM potrà allungare i tempi processuali, ed anche
portare alla fine ad una sentenza errata in quanto errati ne siano i presupposti tecnici.
L'esito finale di un processo iniziatosi
avventatamente con un parere tecnicamente errato di un medico legale non è prevedibile, così come non è prevedibile la durata
del processo. Di certo avrà dato luogo a spese, a perdite di tempo, ad ansia motivata, alla rinuncia a proseguire in una specifica
forma di attività. Negli Stati Uniti, la pervicacia con cui si persegue la "medical malpractice" ha portato ad alcune gravi
conseguenze generali:
*la progressiva e costante diminuzione
del numero degli studenti in medicina e in infermieristica;
*il progressivo e gravissimo calo numerico
degli specialisti nelle materie più esposte all'aggressione per le vie giudiziarie, e cioè degli anestesisti, dei chirurghi
e degli ostetrici;
*l'incredibile aumento dei premi pagati
alle compagnie assicuratrici per la responsabilità civile del medico.
Se non hai mai fatto la ricerca scientifica, né di base né applicata, né in questa disciplina né
in altre, a mio avviso è meglio dedicarsi alla professione, e cercare di farla bene, se solo è possibile. E' tuttavia
mia ferma convinzione che la professione del medico legale va sempre fatta con spirito e curiosità scientifica.
Lasciamo parlare ancora i fatti. Supponi di romperti un braccio o di contrarre una malattia che lasci
qualche esito. Supponi ancora di avere una qualche assicurazione per tutto questo. Vai a consultare le tabelle di valutazione
del danno per quel tuo esito. Prova a tradurre in denaro quel tuo esito. Ne vedrai delle belle. La cosa meno bella è che quel
tuo esito è valutato in percentuale diversa a seconda del contesto assicurativo, il che non dovrebbe assolutamente essere.
Signori Ministri della Salute, del Lavoro, del Welfare, dell'Industria, della Difesa e altro: siete in grado di porre ordine
nel disordine?
LE CATEGORIE
IL TERMINE DI PARAGONE
IL NESSO CAUSALE
Formulare una diagnosi implica l’osservazione e/o la provocazione di segni e sintomi che consentono l’inquadramento
di un processo morboso entro uno schema predeterminato o entro uno schema nuovo.
Naturalmente l’osservazione deve essere corretta. così come deve essere corretto lo schema entro il quale
la nuova osservazione va inquadrata.
La correttezza dello schema è possibile solo se le precedenti osservazioni al riguardo sono corrette.
Le precedenti osservazioni possono consistere in una codifica diagnostica o nell’esperienza individuale.
Sia la codifica diagnostica sia l’esperienza individuale possono essere fallaci, e di conseguenza anche
l’inquadramento in una categoria diagnostica può essere sbagliato.
Il problema è molto sentito in medicina: sono state proposte numerose chart-flow o percorsi diagnostici o protocolli
diagnostico-terapeutici per consentire la correttezza diagnostica.
Tuttavia la diagnosi ha pur sempre una base statistica, nel senso che la diagnosi che si ritiene più vicina
alla realtà può essere proposta in termini probabilistici Molte diagnosi fanno anche riferimento al teorema di Bayes che esprime
la probabilità a priori di una determinata malattia.
Qualunque sia l’approccio al problema diagnostico, se cioè puramente clinico o statistico, è inevitabile
che il caso in esame venga posto a confronto con un termine di paragone.
Il termine di paragone in medicina è situato prevalentemente nel ricordo di casi analoghi, prelevati dallo studio
e dall’esperienza clinica. Nei casi rari, il medico ha il soccorso di colleghi, del laboratorio, di strumenti particolari.
Il termine di paragone in medicina legale è essenzialmente differente, in quanto si tratta di casi spesso di
per se rari, o rari per il perito, in quanto raramente possono capitare all’osservazione di quel perito o di tutti i
periti.
E’ caratteristica della medicina legale giudiziaria la scarsa ripetitività delle osservazioni. Nessun
caso si presenta eguale agli altri. Nella casistica i casi di morte più frequentemente osservati riguardano incidenti stradali,
ed anche qui i quadri anatomici sono assai spesso molto diversi l’uno dall’altro. Nella casistica omicidiaria
le osservazioni sono numericamente scarse: in Italia si verificano poco più di 800 omicidi volontari all’anno, in buona
parte concentrati in alcune regioni meridionali. Se escludiamo gli omicidi della criminalità organizzata, rimangono forse
500-600 omicidi l’anno, che si ripartiscono in maniera abbastanza regolare secondo la numerosità della popolazione. Tenuto conto del numero dei medici legali, le osservazioni di ciascun medico-legale
sono in media scarsissime, anche se, è bene ricordarlo, alcuni medici legali si dedicano esclusivamente ad indagini in tema
di omicidio volontario.
Di conseguenza, può venire a mancare il termine di paragone scientifico culturale, pur essendo facile l’inquadramento
del caso in una categoria diagnostica, per esempio nella categoria delle ferite d’arma da fuoco. La mancanza del termine
di paragone coincide in questo caso con la mancanza di esperienza o con la scarsa esperienza nello specifico campo, il che
può rendere difficile o impossibile la diagnosi differenziale fra omicidio suicidio o accidente. La scarsa esperienza nello
specifico campo comporta la necessità di uno studio approfondito di ogni caso, seguendo linee di ricerca che debbono essere
inventate e reinventate di volta in volta, ed è naturale che in questa procedura si possano verificare errori.
Inoltre, il medico legale è solo, ha l’obbligo di mantenere il segreto, non può, o non dovrebbe, dividere
con altri,che non facciano eventualmente parte del collegio peritale, la responsabilità diagnostica.
Tutto questo genera o può generare l’incertezza, che si rende manifesta nelle aule di giustizia e dunque
influisce sulla sentenza.
L’inquadramento in una categoria diagnostica attraverso il paragone con la dottrina e l’esperienza
propria ed altrui appare assolutamente preliminare all’accertamento del nesso di causalità materiale e psichica.
A questo punto si verifica un salto nel ragionamento peritale. Infatti,
una volta raggiunta la diagnosi e inquadrato il caso in una categoria, l’accertamento del nesso causale prescinde, o
tende a prescindere, dal caso concreto e parte invece dalla categoria diagnostica cui il singolo caso appartiene.
Per esempio:a) Tizio riceve una lesione al collo;
b) confronto questa lesione con le altre lesioni che conosco perché ne ho avuta esperienza professionale e perché
le ho studiate;
c) riscontro che si tratta di una ferita da taglio:
e) poiché le ferite da taglio sono prodotte da un tagliente, la causa materiale della ferita è l’azione
di un tagliente;
f) qui si verifica la variazione nel procedimento del ragionamento logico: io so che le ferite da taglio al
collo possono essere omicidiarie, suicidiarie o accidentali, e so anche che, sulla base della pura morfologia della ferita,
ed a causa della (relativamente) scarsa esperienza in materia di ferite da tagli al collo, mi sarà molto difficile distinguere
il tipo di arma tagliente che è stato usato e anche se si tratta di omicidio,
suicidio o accidente, Il ragionamento prosegue su base statistica: io so che le ferite al collo sono per lo più di natura
suicidiaria e sono prodotte per lo più con un coltello molto affilato o con un rasoio, e dunque affronto il problema verificando
se queste ipotesi siano compatibili con la morfologia delle lesioni e con le circostanze dei fatti. Quest’ultimo aspetto
rappresenta una eccezionale variante medico-legale rispetto al procedimento diagnostico clinico, nel quale tuttavia il criterio
epidemiologico ha grande rilevanza nel settore diagnostico delle malattie infettive.
Quanto è stato detto finora è assolutamente noto e non rappresenta nulla di nuovo per ciascuno di noi.
Trasferiamoci dal campo della diagnosi (categoria) , attraverso il termine di paragone, alla diagnosi eziologica,
cerchiamo cioè di stabilire il nesso di causalità materiale, fra un dato ed un altro, in un settore meno semplice di quello
esemplificato.
Facciamo il caso della diagnostica delle malattie professionali. Gli accertamenti clinici ci possono portare
alla diagnosi clinica, ma non alla diagnosi eziologica, a meno che gli accertamenti non siano mirati a riconoscere l’origine
della malattia, per esempio il veleno che è causa di quei segni e sintomi. Lo stesso si deve dire, mutata la situazione, per
le malattie genetiche.
E’ dunque evidente che la mancanza del termine di paragone comporta una ricerca difficile, assai indaginosa,
lunga nel tempo, talvolta foriera di errori, trasportabile in sede giudiziaria solo con incertezze, dubbi e difficoltà
Talvolta il termine di paragone è solo apparentemente preciso, mentre in realtà è preciso solo in un determinato
tempo e in un determinato spazio.
Mi riferisco ad un elemento che, insieme con l’analisi critica del caso, sta alla base della valutazione
del nesso di causalità psichica nelle questioni concernenti la responsabilità professionale del medico.
Cioè alle percentuali di guarigione di alcune affezioni potenzialmente mortali: se tale percentuale è bassa,
vi è la tendenza a ritenere l’assenza del nesso di causalità materiale anche in presenza di una condotta colposa del
medico, viceversa se la percentuale di guarigione è alta,
E’ naturalmente di grande importanza precisare a quale tempo e luogo questi dati percentuali si riferiscano,
poiché essi rappresentano la pietra di paragone sopra la quale si saggia quel singolo caso concreto che è oggetto dell’indagine
giudiziaria.
Non ha evidentemente senso confrontare, ad esempio, l’esito della cura di una malattia infettiva con l’esito
della cura della stessa malattia in epoca pre-antibiotica, o in una regione in cui ancor oggi la diffusione delle terapie
antibiotiche sia carente.
Queste ipotesi proposte sono estreme, e a nessuno di noi verrà mai in mente di farvi ricorso. Facciamo tuttavia
ricorso, come pietra di paragone, a dati che provengono da altri paesi, segnatamente gli Stati Uniti, che hanno tecniche mediche
ed organizzazione sanitaria diverse e forse più avanzate. Non vi è alcuna vera ragione che legittimi il ricorso a statistiche
americane, salvo il fatto che non abbiamo, generalmente parlando, statistiche attendibili che riguardino il nostro paese,
o le regioni, o macroregioni, del nostro paese. Tanto meno abbiamo la possibilità di accedere a dati che riguardino singoli
ospedali, o singoli medici.
Purtroppo non abbiamo neppure la possibilità di mettere insieme i dati che ci servono, perché le cartelle cliniche
degli ospedali sono spesso illeggibili o inaffidabili, come ci risulta dall’esame delle cartelle che ci capita di dover
esaminare per ragioni professionali.
Nella consapevolezza che il ricorso a statistiche sanitarie straniere, quale ausilio alla soluzione di problemi
giudiziari per errore medico, accaduti in Italia, rappresenta un errore, dobbiamo tuttavia renderci conto che altre meno inadatte
pietre di paragone non esistono, e che in realtà, valutando le statistiche americane, non facciamo altro (ma anche questo
è un errore) che valutare la perfezione raggiunta in questo momento dall’arte medica, e con essa confrontare le nostre
insufficienze.
Le conclusioni che sul piano pratico si possono trarre riguardano in primo luogo la necessità che abbiamo di
avere statistiche sanitarie attendibili circa la diagnosi e la prognosi e la percentuale di guarigione, ottenute dalla pratica
professionale medica italiana, e in secondo luogo quella di considerare con maggiore serenità di giudizio eventuali errori
medici, paragonandoli sì con le statistiche nord-americane, ma ricordando anche che la medicina in quel paese rappresenta
forse il meglio-sul piano tecnico- che ci sia al mondo e che non possiamo pretendere che l’organizzazione degli ospedali
e le capacità tecniche dei medici italiani (e anche dei medici legali) siano in questo momento a quel livello.
Questo ci porta immancabilmente al problema del significato medico-legale delle guide-lines, o protocolli, cui
il medico dovrebbe o potrebbe attenersi per esercitare la sua attività professionale in modo tecnicamente corretto e dunque
(o comunque) per tenersi lontano da guai giudiziari.
Il tema tuttavia della responsabilità medica è solo un caso particolare dell’idea più generale della necessità
di un termine di paragone.
Se è relativamente facile, sia sul piano concettuale sia sul piano pratico, affrontare il problema della possibilità scientifica che un evento sia conseguenza
di un altro, non altrettanta facilità si trova quando si voglia affrontare il tema della probabilità di un certo evento.
Il concetto di possibilità e quello di probabilità appartengono a due categorie diverse. Il concetto di possibilità
è qualitativo, quello di probabilità è quantitativo.
Un grande lavoro è stato effettuato in tema di malattie da radiazioni , per cui partendo dalla nozione di “rischio
attribuibile”, che si esprime con la formula RA=tasso esposti-tasso non esposti/tasso esposti x 100, si è giunti a stabilire
la PC (probability of causation) secondo la formula PC= rischio da radiazioni / rischio da radiazioni + rischio “naturale”
o, come formula finale PC=R/R+1, dove R compendia alcune grandezze di tipo diverso (dose, tempo dell’esposizione, ecc.).
Negli Stati Uniti le Corti di merito hanno accettato la fondatezza delle richieste di indennizzo quando la PC superi il 50%,
e così innumerevoli liti giudiziarie hanno trovato soluzione.
Si tratta, come è evidente, di un caso del tutto particolare, che si presta specialmente ad elaborazioni di
questo tipo.
E’ stato elaborato anche il concetto di rischio stocastico, che si riferisce alla probabilità che un lavoratore
ha di contrarre una malattia professionale o di andare incontro ad un infortunio. Nel caso dell’infortunio la probabilità
finale Pf del suo accadimento dipende da una serie di probabilità di eventi intermedi sfavorevoli P1 x P2 x P3 x Pn, e così
è stata stimata, per esempio, la probabilità finale di uno shock elettrico in un paziente che si ricoveri in ospedale per
un esame diagnostico non invasivo con apparecchiature elettriche.
Questa è la probabilità finale o globale che dopo il 1° evento si
verifichi l’ultimo, e può essere calcolata, mentre le singole probabilità
dopo un singolo evento non sono calcolabili, bensì osservabili, cioè debbono essere valutate empiricamente. E questi sono
appunto i dati che ci mancano e che non riusciamo ad avere nel contsto scientifico e sanitario nazionale.
Manchiamo dunque di un realistico termine di paragone, che dovrebbe essere costruito attraverso l’analisi
seria e completa della casistica, essenzialmente ospedaliera.
E’ spesso difficile, inoltre, nell’ambito della responsabilità professionale del medico, comprendere
il confine tra l’errore del singolo, l’errore del gruppo o èquipe, l’errore dell’organizzazione del
reparto o dell’intera struttura ospedaliera od extra-ospedaliera. Tale difficoltà di comprensione non può che riflettersi
nella perizia e nella sentenza. Porvi rimedio comporta un assai rilevante aggravio dei compiti del perito, al quale dovrebbero
competere anche i sopralluoghi e lo studio dell’organizzazione interna della struttura.
I compiti del perito, in tema di responsabilità medica, si limitano attualmente alla visita della persona o all’autopsia
del cadavere, e all’esame della- documentazione sanitaria.
In questi casi anche l’autopsia, intesa come sezione del cadavere, ci dice assai poco.Quel che manca,
il più delle volte, è la reale comprensione dei meccanismi psichici che stanno alla base della condotta colposa. Tali meccanismi
emergono, il più delle volte, nel corso del dibattimento penale.
L’autopsia dovrebbe essere il massimo per giungere ad una diagnosi sulle cause di morte. Il più delle
volte essa ci dice solo che la persona è morta, non come è morta. L’autopsia
è solo una fotografia statica, che si ritiene rappresenti lo status del corpo e dei singoli organi al momento della morte.
Essa però non ci può dire che cosa è accaduto prima della morte e dopo di essa, se non a grandi linee e per congettura. La
pretesa che l’autopsia descriva lo status al momento della morte è assurda, ancor più assurdo è pretendere di individuare
i meccanismi che hanno portato a morte la persona. E’ solo l’accurata osservazione clinica che ce lo può dire.
Allo stato delle cose, e con il fine specifico di evitare problemi giudiziari, i medici che si occupano di curare
i malati dovrebbero cercare di aiutare meglio se stessi, tenendo conto del fatto che i malati o i loro famigliari possono
perdonare più facilmente l’imperizia e l’imprudenza piuttosto che la negligenza.
Tra i modi che hanno i clinici per meglio aiutare se stessi dovrebbero essere compresi l’informazione
al paziente, ed eventualmente anche ad alcuni suoi famigliari, e al medico di base, il consenso al trattamento diagnostico-terapeutico,
l’identificazione dei fattori di rischio, l’empatia con il paziente. In sostanza il paziente dovrebbe essere posto
in grado di capire ciò di cui soffre e che cosa si farà per cercare di guarirlo.
Tenergli nascosti possibili rischi non è utile, e non serve neanche al medico.
Nell’ambito dell’attività peritale, ho notato che frequentemente
gli ostetrici sono coinvolti in procedimenti penali e civili, più spesso di altri specialisti. Ed ho notato anche che spesso
gli ostetrici collaborano assai male alla propria tutela, non valutando con cura i rischi fetali in corso di gravidanza, non
documentando gli eventi clinici nel corso del travaglio, non esaminando placenta e funicolo, non dividendo compiti e responsabilità
con il neonatologo al momento del parto.
Condotte analoghe si possono evidenziare anche per le altre specialità mediche.
Si può affermare, per concludere, che il rischio professionale è immanente per ogni medico, il quale dovrebbe
tutelarsi attraverso una più adeguata prassi professionale, oltre che attraverso una buona polizza di assicurazione personale.
A sua volta, il medico legale, nella sua specifica funzione, dovrebbe comprendere che ogni valutazione tecnica comprende necessariamente,
in modo esplicito o implicito, il confronto di quel singolo caso concreto con una adatta pietra di paragone.
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